Esiste una relazione strettissima tra le “pratiche religiose” e la relazione con Dio.
Nel cristianesimo, e secondo il Vangelo, il digiuno, così come la preghiera e l’elemosina, che pur sono consigliate, non sono delle pratiche ascetiche in vista di un perfezionamento personale, ma devono aprire alla relazione con il Signore e con gli altri.
Il digiuno, in particolare, è un’esperienza di limite che mi aiuta ad aprirmi alla presenza di Dio nella mia vita, rinunciando alla presunzione di autosufficienza.
Se non è compreso in questo orizzonte, il digiuno, così come ogni altra pratica religiosa, diviene l’espressione del mio narcisismo e del mio autocompiacimento.
Se invece è l’occasione in cui volontariamente mi apro ad un’esperienza di debolezza, sentirò crescere in me il desiderio di colui che è pane di vita e acqua che disseta.
Se mi espongo volontariamente alla privazione di qualche bisogno essenziale, sento crescere in me il desiderio di ciò che davvero mi può saziare.
Il digiuno è molto utile quando si è perso lo sposo perché la mia “religione” è tornata ad essere una religione della legge che ha perso di vista la logica dell’amore.